Gli studi sulla plasticità cerebrale ci invitano a credere nei bambini

Nov 05, 2021
 

In questo episodio dell'Approfondimento del giovedì parliamo di fiducia nei bambini e del perché è importante averla. Affrontare la loro educazione con ottimismo ha un impatto importante sul loro sviluppo cognitivo, come dimostrano i più recenti studi sulla plasticità cerebrale. 

Buona visione e buona lettura. 

  

(Al minuto 02:55) La storia di Nicholas.

Nel 1995 Nicholas era un bambino australiano a cui piaceva giocare con i puzzle. Gli era stato diagnosticato un disturbo dell'apprendimento e un basso quoziente intellettivo, e uno dei suoi insegnanti aveva detto: "È il peggior bambino che abbia avuto in vent'anni". Nel 2018 Nicholas Letchford si è laureato ad Oxford in Matematica applicata. La sua storia è raccontata nel libro Reversed, scritto da sua madre Lois Letchford. Ed è anche l'inizio di un articolo della professoressa Jo Boaler dal titolo Valuing Difference and Growth: A Youcubed Perspective on Special Education

Jo Boaler usa questo esempio per ricordarci che troppo spesso le diagnosi avvengono frettolosamente. Questo perché fino a non molti anni fa avevamo un'idea sbagliata del cervello umano: pensavamo fosse un organo fermo nel tempo, mentre invece è plastico. Questa visione sbagliata ha portato a diagnosi di disturbi dell'apprendimento sempre più precoci, con l'idea di intervenire rapidamente con strumenti compensativi. Ma il cervello, invece, cambia nel tempo. Per questo Boaler ci mette in guardia dal classificare gli studenti come irrecuperabili.

Citando lo psichiatra Norman Doidge (di cui vi avevamo consigliato un libro in una delle nostre eduletter), Jo Boaler ci dice che ogni mattina, quando ci svegliamo, il nostro cervello si è riorganizzato rispetto al giorno precedente. Spesso pensiamo che cambiare sia faticoso, ma in realtà è molto più faticoso rimanere gli stessi visto che il nostro cervello cambia giorno dopo giorno. 

 

(Al minuto 12:56) La storia dei tassisti di Londra.

Uno dei primi studi che hanno dimostrato la potenza della plasticità cerebrale è uno studio del 2006 sui tassisti di Londra. Per diventare tassisti a Londra bisogna superare un esame in cui si dimostra di avere una buona conoscenza delle 25 mila strade e 20 mila punti di interesse della città. Osservando il cervello di molti tassisti londinesi, gli scienziati hanno notato uno sviluppo accentuato dell'ippocampo, che è molto più grande rispetto alle altre persone. Dopo essere andati in pensione, questa area del cervello torna ad avere dimensioni che rientrano nella media.

 

(Al minuto 20:00) Il cervello cambia nel tempo.

Altri due studi citati da Jo Boaler, entrambi apparsi su Nature, riguardano le abilità matematiche e di lettura. Il primo ha analizzato un gruppo di bambini con diagnosi di discalculia o con gravi difficoltà in matematica. Questi bambini sono stati sottoposti a un training intenso di tre ore settimanali per otto settimane con un tutor (dunque 24 ore totali). Gli esaminatori hanno osservato il funzionamento cerebrale prima dell'inizio dell'attività di tutoring, riscontrando che effettivamente il cervello di questi bambini con difficoltà si attivava meno rispetto alla media. Al termine del tutoring sono sparite le differenze cerebrali. In altre parole: non era più possibile distinguere il cervello dei bambini con diagnosi di discalculia dal cervello degli altri bambini. 

Cosa significa? Che i bambini non migliorano solo nelle prestazioni, ma riplasmano il loro cervello fino a farlo funzionare in maniera corretta. Il miglioramento non è dovuto al fatto che hanno trovato strategie diverse per eseguire i compiti, aggirando dei problemi neurologici, ma hanno iniziato a usare le stesse aree del cervello che usano gli altri bambini. Detto in altre parole: non sono atleti delle paralimpiadi che trovano altri modi per eseguire una prestazione, ma competono nelle olimpiadi.  

Questo non significa che ogni bambino può cancellare le difficoltà: non sempre avviene. Ma è importante ricordare che avviene.

Il secondo articolo ha analizzato 24 bambini tra i 7 e i 12 anni con diagnosi di dislessia o gravi difficoltà di lettura. Anche in questo caso sono stati sottoposti a un training intensivo di otto settimane. Anche in questo caso è stato notato un cambiamento nella struttura cerebrale, in particolare in due aree cruciali per le abilità di lettura. Non solo, ma si modificano anche altre aree della corteccia cerebrale connesse con quelle usate direttamente nella lettura.

Ancora una volta è importante sottolineare che nessuna fotografia delle difficoltà di un bambino, da sola, ci può dare l'idea delle sue potenzialità. Solo dopo averlo stimolato correttamente possiamo farci un'idea delle sue possibilità.

 

(Al minuto 37:44) Educare con ottimismo.

La pedagogista Debora Di Jorio nel master in Neuropedagia dei processi cognitivi che tiene insieme al professor Alberto Oliverio, ha riassunto queste ricerche con una bellissima frase: "La prima caratteristica fondamentale per un adulto che vuole aiutare un bambino a imparare è l'ottimismo". Non si tratta ovviamente dell'ottimismo leggero di chi pensa, "Andrà tutto bene". È la consapevolezza che le cose possono migliorare.

Come possiamo essere le guide di questi bambini e ragazzi se non sappiamo immaginare un futuro migliore per loro? Come possiamo essere educatori se cominciamo anche solo a fare entrare nella nostra testa il tarlo che non possono migliorare? La strada da seguire è avere fiducia.

Ed è anche il motivo per cui gli strumenti compensativi vanno dosati: perché dare la tavola pitagorica a un bambino che mostra problemi solo con la tabellina del nove? Con la tavola pitagorica sempre a portata di mano finirà per dimenticare le altre tabelline e regredire anziché migliorare. In questo caso dovrà avere una tavola bianca con solo la tabellina del nove.

Gli studi sulla neuroplasticità non ci dicono solo che si può migliorare, ma anche che si può peggiorare. Il nostre cervello regredisce quando non viene stimolato correttamente. Un ulteriore motivo per resistere alla tentazione di dare etichette ai bambini con difficoltà: alcuni mesi di scarsa stimolazione possono bastare per far fallire un test che avrebbe superato se stimolato correttamente.

 

 (Al minuto 43:54) Noi diamo forma al nostro cervello.

Se torniamo all'articolo di Jo Boaler da cui siamo partiti troviamo un'altra storia che merita di essere evidenziata, quella di Barbara Arrowsmith-Young. Nel 1957 era una bambina con estreme difficoltà cognitive, faticava a riconoscere i rapporti di causa ed effetto, a concepire pensieri astratti, a concepire la tridimensionalità e non era in grado di comprendere l'umorismo. Inoltre non riusciva a riconoscere il lato sinistro del suo corpo come sue: se posava la mano su una fonte di calore sentiva dolore ma non capiva da dove arrivasse. Difficoltà così gravi che l'hanno portata a tentare il suicidio.

Nel 1977, mentre studiava psicologia per cercare di capire cosa avesse di sbagliato la sua testa, ha scoperto che il cervello può cambiare. Se volete farvi un'idea di quanto sia cambiata la sua vita potete leggere il suo libro The Woman Who Changed Her Brain o guardare il suo TEDx.

Quando si sente parlare di queste storie estreme, per quanto di ispirazione siano, possiamo avere la sensazione che siano casi particolari. Ma il lavoro quotidiano di persone come Jo Boaler dimostrano che questa è la normalità: il nostro cervello cambia.

Dobbiamo cominciare a sentire come dissonanti tutte le frasi come "Sei fatto così" o "Non sei portato". Come dice Barbara Arrowsmith-Young: "Non solo il nostro cervello dà forma a noi stessi, ma noi stessi possiamo dare forma al nostro cervello".

Questo ci dà un grande senso di responsabilità verso noi stessi e verso i bambini che educhiamo. Sempre più spesso vediamo bambini che accettano la resa: se imparano che non sono capaci in alcuni argomenti se ne tengono lontani. Invece uno dei nostri compiti principali, come adulti, è nutrire la fiducia: trasmettere la consapevolezza che si può migliorare. Magari non sarà facile, ma è possibile.

 

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