Il bastone o la carota? Perché motivare è meglio che punire

Mar 14, 2023

A molti di noi è capitato di finire in una punizione di gruppo a scuola, anche se non avevamo fatto niente. In questo approfondimento riflettiamo sull'utilità di questi provvedimenti, analizzando alcuni studi scientifici secondo i quali le motivazioni sono più efficaci delle punizioni.

 

In questo episodio:

00:00 Introduzione
08:33 Le punizioni hanno senso?
22:21 Motivare per spingere ad agire
28:40 Le punizioni di gruppo
37:24 Conclusioni

 

Succede spesso a scuola, a lavoro e nei contesti sportivi di ricevere una punizione di gruppo. Rodolfo Cavaliere ha raccontato di essersi trovato spesso in questa situazione, quando era un pallavolista professionista, e ricorda un senso di profonda ingiustizia, un desiderio di ribellarsi e che alla fine le persone più attente al rimprovero o più partecipi all'allenamento punitivo erano quelle per cui la punizione non era necessaria. 

Queste punizioni sono raramente efficaci, perché chi ha creato il problema è spesso mosso da un sentimento di esclusione e scarsa motivazione e una punizione di gruppo non agisce su questa cause.

 

Le punizioni hanno senso?

Per prima cosa chiediamoci se le punizioni hanno senso. Alberto Oliverio nel libro Il cervello che impara ci ricorda che una delle condizioni essenziali per l'apprendimento è sentirsi al sicuro. Non si tratta solo di una sicurezza fisica, ma anche psicologica. Ecco quindi che un ambiente in cui a un errore corrisponde una punizione può andare a minare questa sicurezza.

Le punizioni generano un tipo di attenzione generato dall'allerta, ma non è il tipo di attenzione che genera apprendimento. Anche Frederic Laloux, nel libro Reinventare le organizzazioni, ci ricorda che non vanno adottati metodi repressivi, ancor meno in ambienti di gruppo, perché minano le capacità relazionali, l'apertura mentale, la voglia di confrontarsi e la capacità di chiedere scusa.

L'obiettivo invece è mantenere tutti coinvolti, in un ambiente in cui si sentono al sicuro anche psicologicamente, in cui si sentono accettati anche se sbagliano. Ci sono molti esempi di organizzazioni di questo tipo che funzionano meglio di quelle rette sulle punizioni.

Basta una semplice domanda ogni tanto per dimostrare interessa in ciò che provano, a patto che l'interesse sia sincero.

Un'esperimento condotto in un ospedale di New York ha rivelato un risultato interessante. Quando il personale veniva incentivato a lavarsi le mani attraverso la segnalazione degli effetti negativi di un mancato lavaggio, la percentuale di chi le lavava era del 10%. Quando invece della minaccia degli effetti negativi è stato introdotto un sistema di premi che aggiungeva punti a una classifica collettiva ogni volta che qualcuno si lavava le mani, la percentuale è rapidamente salita al 90%.

Questo perché ciò che ci coinvolge attiva delle parti del cervello legate all'azione, mentre la paura di una punizione attiva delle parti del cervello legate allo stare fermi, al non agire per paura di sbagliare.

 

Motivare per spingere ad agire

Le punizioni possono spegnere dei comportamenti negativi, ma siccome portano all'inazione non aiutano ad apprendere meglio, un'attività intrinsecamente attiva.

Le punizioni di solito non servono perché chi disturba in un gruppo lo fa solitamente perché non si sente abbastanza coinvolto, perché non capisce il senso di fare quell'attività.

 

Le punizioni di gruppo

Uno studio di Philipp Chapkovski il cui titolo tradotto dice "Punirne cento per educarne uno" dimostra in maniera sperimentale che le punizioni di gruppo non sono efficaci.

L'articolo scardina anche uno dei principi alla base delle punizioni di gruppo: l'idea che saranno gli stessi pari a ribellarsi contro chi è causa della punizione. Invece accade il contrario: proprio quando i membri del gruppo sono in grado di punire i propri pari le punizioni collettive sono meno efficaci. A scuola, in assenza di punizioni di gruppo, gli alunni possono punire i compagni ad esempio isolandoli. Ma in presenza di una punizione di gruppo i pari non si riconoscono a vicenda la facoltà di punirsi e nascono dei comportamenti oppositivi inconsci che finiscono per sabotare il gruppo.

Insomma, i membri che creano i problemi si ritrovano ad avere più potere: con il loro comportamento possono sabotare l'intero gruppo che non li coinvolge e non li accetta.

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