Perché i nostri bambini e ragazzi provano rabbia e ansia

Mar 25, 2022

I nostri bambini e ragazzi sono sempre più arrabbiati. Lo sentiamo ripetere quotidianamente dai genitori, dagli insegnanti e dagli educatori. Ci raccontano episodi di aggressività, opposizione, irrequietezza e anche veri e propri stati di ansia. Ma se avessero ragione a essere arrabbiati?

In questo Approfondimento scaviamo più a fondo nelle cause che generano rabbia nei più giovani. Lo faremo attraverso racconti di casi concreti, per comprendere meglio il fenomeno e capire come affrontarlo.

 

 

 In questo episodio:

00:00 Introduzione
03:30 Comprendere la rabbia e l'ansia
11:29 Le emozioni fanno parte di noi
19:59 Quale società abbiamo costruito?
28:32 Il diritto di essere pigri
41:03 Educare all'autonomia

 

Comprendere la rabbia e l'ansia.

La rabbia, l'aggressività, la depressione, gli sbalzi d'umore e tutti i comportamenti antisociali che vediamo nei più piccoli testimoniano, secondo la scienziata Daniela Lucangeli, "un tempo in cui non è più degli adulti la fatica nelle emozioni, ma è diventata dei nostri figli". Anche la nostra esperienza di tutor dell'apprendimento ci ha messo molte volte di fronte a questo fenomeno, che potremmo definire male di vivere

Daniela Lucangeli comincia con la scelta di un termine importante. Chiama queste situazioni "vulnerabilità emotiva". Questo termine ci aiuta a capire che i bambini, anche quando presentano comportamenti aggressivi, non vanno mai fatti sentire sbagliati. Sono ancora una fase vulnerabile della loro vita, non hanno le risorse cognitive ed emotive per affrontare situazioni che mettono in grande difficoltà perfino gli adulti. Per cui dobbiamo trovare il modo di aiutarli.

Innanzitutto cerchiamo di capire quali sono i motivi che provocano quello stato di rabbia. Scavando a fondo potremmo scoprire che spesso hanno ragione a essere arrabbiati.

Ciò che sappiamo è che gli stati di rabbia e di ansia sono connessi con situazioni in cui non è possibile agire diversamente, in cui non siamo nella condizione di poter scegliere. 

Sarebbe importante imparare a raccontare la propria vulnerabilità emotiva prima che sfoci in episodi di aggressività o depressione. Purtroppo non viviamo in una società che facilità la condivisione delle emozioni. I nostri bambini lo vedono fare in rari casi dagli adulti di riferimento, siano essi i genitori, gli insegnanti o gli allenatori. Per cui troppe volte accade che le emozioni restino dentro di noi senza essere raccontate, diventando sempre più grandi fino a quando non si riescono più a gestire.

Dunque la domanda che poniamo oggi è: siamo sicuri che i nostri bambini e ragazzi non abbiano ragione ad essere arrabbiati?

 

Le emozioni fanno parte di noi.

Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo liberarci di un'idea ancora troppo diffusa: l'idea che siamo analizzabili per singoli pezzi.

Daniela Lucangeli, nelle sue conferenze e nei suoi interventi con i bambini, fa spesso questo esperimento: chiede di darsi un pizzicotto a un braccio in modo da sentire un po' di dolore, poi domanda: "Chi ha provato quel dolore?". La risposta che tutti danno, adulti e bambini, è: "Io". Una risposta che appare ovvia, ma non lo è così tanto. Ci dice che un dolore provato in una parte del corpo influenza l'intero essere, tutto ciò che chiamiamo "io". Vale sia per un dolore fisico che per un dolore emotivo.

Capire che siamo un tutt'uno ci aiuta a comprendere meglio le situazioni di rabbia e ansia. Un bambino o un ragazzo che presenta una vulnerabilità emotiva non riuscirà ad approcciare al meglio un compito in classe di matematica, per esempio, perché non possiamo tenere separate le sue emozioni dalle sue conoscenze e abilità matematiche.

Quando siamo in difficoltà emotiva non siamo gli stessi, non riusciamo ad attingere allo stesso modo alle nostre risorse mentali, non abbiamo la stessa capacità di autoanalisi e di inibizione. Per questo è sbagliato chiedere ai bambini e ai ragazzi (ma vale anche per noi stessi) di fingere che non sia così, di dimenticare le nostre difficoltà emotive per concentrarci sui compiti cognitivi, come se la nostra parte emotiva potesse essere separata dalle altre parti del corpo e della mente. 

Questo non significa che ogni atteggiamento di rabbia vada accettato, ma che dobbiamo chiederci quanto i bambini e ragazzi sono in grado di inibire la loro rabbia e non pretendere più di quanto siano in grado di fare. Perfino noi adulti fatichiamo a inibire la nostre emozioni. Per i più piccoli è ancora più difficile. 

La soluzione passa per la creazione di un ambiente in cui tutti possano esprimere liberamente le loro emozioni.  

 

Quale società abbiamo costruito?

La società che abbiamo costruito e nella quale stiamo facendo crescere le prossime generazioni ha un ruolo enorme nel determinare questi comportamenti nei bambini. Ma la società in cui viviamo è stata costruita da noi. Cerchiamo allora di fare alcuni esempi, non per condannare chi si comporta in questo modo ma per ragionare sulla nostra società e su come possiamo migliorarla. Ogni decisione che prendiamo viene presa nelle migliori intenzioni e non abbiamo intenzione di giudicarle, vogliamo solo far notare che sono queste decisioni a plasmare il mondo in cui i bambini e ragazzi crescono accumulando sempre più rabbia e ansia.

Il primo esempio sono le punizioni. In alcune scuole primarie gli insegnanti puniscono gli alunni, ad esempio se non hanno fatto i compiti, facendogli saltare l'intervallo. Un bambino che ha saltato l'intervallo e non ha potuto sfogare la sua necessità di movimento ha ragione a essere arrabbiato a fine giornata?

Qualcuno potrebbe dire di no, perché c'era una regola. Ma chi ha deciso questa regola? Non stiamo chiedendo troppo a quei bambini? 

Il meccanismo delle punizioni tendenzialmente non funziona. Ci sono tantissimi studi che lo dimostrano. Molti credono che le punizioni forgino il carattere, ma l'effetto è che i bambini collegano apprendimento e punizione e svilupperanno la tendenza a fuggirne il prima possibile.

Vincenzo Prunelli su Nuovo Sport Giovani ha scritto:

"Non è [...] più il caso di parlare di punizione, anche se qualche volta non è un delitto perdere la pazienza. È diverso, invece, quando si usa la punizione come metodo educativo e formativo, perché impoverisce il rapporto, rende chi la subisce impermeabile anche agli apporti educativi corretti e non lo porta mai a una libera espressione delle proprie qualità".

Dunque il meccanismo di punizioni non "porta mai a una libera espressione delle proprie qualità". Il bambino che salta l'intervallo e si sente arrabbiato, o amareggiato, o spento ha ragione perché non può esprimere sé stesso.

Un altro esempio è questo: una bambina che conosciamo presenta sempre comportamenti oppositivi e aggressivi nel pomeriggio, prima di andare a danza. Questo perché, come dice apertamente, non le piace fare danza. È la mamma a forzarla ad andare, con la motivazione che ha preso un impegno. Questa è una motivazione che i genitori ripetono spesso per le attività extrascolastiche come sport e musica e ha un suo fondamento. Ma dobbiamo anche riflettere sulla situazione che stiamo creando: una bambina, in questo caso, costretta a fare qualcosa che non le piace.

Forse un bambino o un ragazzo dovrebbe avere il diritto di sperimentare delle attività, provarle per qualche tempo e capire se lo fanno stare bene, senza cadere nel meccanismo del "hai preso un impegno". Non sappiamo se questa sia la soluzione giusta, ma vogliamo invitarvi a riflettere sulla società che abbiamo costruito e interrogarci su cosa stiamo sbagliando.

Un terzo esempio arriva da una scuola dell'infanzia nella quale i bambini passano tantissimo tempo seduti al banco, perfino durante l'orario del pranzo. Quella scuola ha sicuramente delle ragioni per aver fissato queste regole, ma l'effetto è che i loro bambini presentano più comportamenti aggressivi rispetto ai coetanei di altre scuole.

 

Il diritto di essere pigri.

Spesso abbiamo paura di quello che accadrebbe se lasciassimo i bambini liberi di fare quello che vogliono. Eppure sistemi educativi come il Montessori o quello finlandese si basano ampiamente sulla libertà. 

Prendiamo un esempio dal nostro Coschooling Forum 2020. Il maestro finlandese di scuola primaria Oula Pihlajamäki ci aveva raccontato come si comporta quando i suoi alunni non vogliono fare un'attività:

"Se i miei alunni più grandi (di 11-12 anni) sono pigri, possono essere pigri. Io non li forzo. Li aiuto solo a capire che io mi accordo che sono pigri e che non ci rimetto io, ma loro. Sono loro a perdere delle occasioni di creare qualcosa. C'è una cosa che ripeto sempre ai miei alunni: libertà e responsabilità vengono insieme. Più responsabilità dimostri, più libertà hai. Per avere più libertà devi essere più responsabile. Ad esempio, quest'anno non ho assegnato nessun compito di matematica. Ho detto ai miei alunni che è loro responsabilità fare qualche esercizio. Se non li fanno, io me ne accorgo e li aiuto assegnandogli dei compiti".

Osserviamo bene cosa ci sta dicendo. Quando i suoi alunni non fanno qualcosa non c'è una punizione, ma un aiuto. I compiti che vengono assegnati non sono presentati come una punizione per non aver fatto il proprio dovere, ma come un aiuto a diventare più responsabile e di conseguenza guadagnarsi la libertà di decidere quali e quanti esercizi fare. Il bambino non si sente punito e svilupperà meno rabbia, perché viene aiutato a raggiungere una maggiore autonomia. 

Questo è il modo giusto di creare un'alleanza educativa con i bambini. L'adulto non è il controllore che premia e punisce, ma un alleato nel percorso di crescita.

 

Educare all'autonomia.

All'inizio del Novecento la ballerina statunitense Isadora Duncan, considerata una delle precorritrici della danza moderna ha fondato numerose scuole di danza. Invece dell'approccio rigido che si usa nelle normali scuole di danza, lei ha introdotto un concetto semplice:

"Non insegnerò ai bambini a imitare i miei movimenti, ma a trovare i propri".

Noi potremmo tradurla così:

"Nella nostra comunità educante non insegneremo ai bambini a fare quello che gli diciamo, ma a esprimere sé stessi".

La nostra sensazione è che molte vulnerabilità emotive si attenuerebbero o scomparirebbero se facessimo questo.

Durante un intervento del nostro Rodolfo Cavaliere in una scuola superiore una ragazza al terzo anno ha espresso questo concetto:

"Io voglio avere la capacità di trovare un posto nel mondo. Ma se voglio avere la speranza che ci sia questo posto nel mondo devo adattarmi e fare quello che dicono".

Rodolfo ha scritto questa frase alla lavagna e ha invitato la classe a riflettere. La sua idea è che per avere un posto nel mondo deve adattarsi a fare quello che gli altri dicono. Un giovane adolescente dovrebbe avere la voglia di costruire un mondo diverso, non la consapevolezza che deve adattarsi al mondo che è già stato costruito.

Chiediamo ai nostri giovani di costruire un mondo migliore di quello in cui sono nati. Ma chiediamoglielo dando loro la libertà di esprimere sé stessi, a volte non facendo come gli diciamo.

Questo atteggiamento avrà anche la conseguenza di ridurre gli stati di rabbia e ansia.

 

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