La gamification e il vero ruolo del gioco nell'apprendimento

Nov 04, 2022

Sempre più spesso si parla di "gamification" a scuola, ma qual è il vero ruolo del gioco nell'apprendimento? Nell'approfondimento #44 scopriamo che quando la gamification si riduce a dare una ricompensa o un riconoscimento ogni volta che si raggiunge un traguardo, come se l'educazione fosse un videogioco, può creare più danni che benefici. Quando, invece, i meccanismi profondi del gioco vengono integrati nel processo di apprendimento la gamification può trasformarsi in una straordinaria risorsa. 

 

 

In questo episodio:

00:00 Introduzione
05:07 I problemi della gamification a scuola
20:10 Costruttivismo e comportamentismo
36:23 Imparare per tutta la vita

 

I problemi della gamification a scuola

Abbiamo parlato spesso dell'importanza del gioco nell'apprendimento, a partire dall'Approfondimento #1 con Peter Gray. Ma quando si parla di gamification spesso i termini con cui si inquadra il gioco sono imprecisi: il gioco è un meccanismo di apprendimento antichissimo che accomuna tutti i mammiferi, dunque è inscritto dentro di noi.

In un articolo su Agenda digitale leggiamo:

Gli studi dimostrano che tradurre gli obiettivi educativi, promozionali o propagandistici attraverso sfide emozionanti, sul modello dei videogiochi, quindi attraverso il conferimento di badge di avanzamento e la visibilità dei grafici delle prestazioni, appaghi il bisogno di competenza e aumenti la significatività percepita del compito.

In questo passaggio si dice che i "badge di avanzamento" appagano il "bisogno di competenza". Ma il senso di competenza è il senso di saper fare e di essere capaci, ed è talmente importante che influisce sull'identità e sull'autostima. È, insomma, un processo interiore, non esteriore, per questo un sistema di premi non è la strategia migliore per incentivarlo.

I premi (badge e grafici di avanzamento) posso stimolare sul breve periodo, ma sono riconoscimenti che arrivano dall'esterno.

In un altro passaggio dell'articolo leggiamo:

A scuola, “Gamification” non significa “rendere giocosa la lezione”, piuttosto è applicare elementi propri dei videogiochi nella didattica, per stimolare l’apprendimento delle materie tradizionali.

Tuttavia “rendere giocosa la lezione” è molto di più che "applicare elementi propri dei videogiochi", perché significa stimolare proprio quei meccanismi naturali di apprendimento attraverso il gioco che ci accomunano agli altri mammiferi.

Infatti i videogiochi non sono dei buoni esempi di come si fa a mantenere una persona dentro un processo cognitivo, sono esempi di come si fa a mantenere una persona attaccata a una fonte di intrattenimento. 

 

Costruttivismo e comportamentismo

Leggiamo un altro passaggio dell'articolo:

La gamification si può considerare come metodo costruttivistico. L’alunno è posto al centro del processo formativo, è costruttore del proprio apprendimento, che acquisisce attraverso esperienze dirette.

Ogni volta che si lega una prestazione a un risultato, come ottenere un badge (o un premio economico per i lavoratori), si ottiene il risultato di migliorare questa prestazione. Ma questo approccio non è affatto costruttivista, è comportamentista.

Il comportamentismo è una teoria elaborata da John Watson e Burrhus Skinner che lega il comportamento (umano o animale) agli stimoli ricevuti dall'ambiente e ai rinforzi ricevuti, ovvero il premio che si riceve dopo aver eseguito una certa azione. Ricevere un badge per aver svolto correttamente un compito scolastico è un'attività che si inquadra meglio in questa teoria di riferimento, piuttosto che in quella costruttivista.

Invece pedagogisti come Vygotskij e Piaget, che hanno esaltato il ruolo educativo del gioco, si inquadrano meglio nel costruttivismo: mettendosi in gioco i bambini costruiscono il loro sapere sulla base dell'esperienza che fanno.

Nel libro Drive. Cosa davvero guida la nostra motivazione il saggista e consulente Daniel Pink analizza diversi studi sul funzionamento della motivazione. Tra le sue conclusioni c'è il fatto che i premi sono in grado di motivare solo sul breve periodo, ma non appena le ricompense si interrompono i risultati sono addirittura peggiori rispetto alle persone che non hanno mai ricevuto premi.

Questo avviene perché le ricompense distruggono la motivazione interna, cioè la capacità delle persone di automotivarsi.

Inoltre i premi sono più efficaci nel caso di lavori ripetitivi, dal basso livello di rielaborazione cognitiva. Abbiamo già visto che la ripetizione non è la strategia migliore per apprendere. E anche in questo caso le prestazioni possono peggiorare se si lega una prestazione cognitiva a una ricompensa, perché l'alunno si sente meno libero di sperimentare creativamente e cerca solo di raggiungere il risultato.

 

Imparare per tutta la vita

Se il nostro obiettivo è crescere bambini che si sentono capaci di imparare per tutta la vita, allora dobbiamo ripensare il concetto di gamification. Ci viene in aiuto il libro di Mitchel Resnick Lifelong Kindergarten (tradotto da Erikson col titolo Come i bambini. Immagina, crea, gioca e condividi), che ha un capitolo sulla gamification.

Secondo Resnick il tentativo di introdurre i premi nella didattica genera un bisogno di controllo eccessivo, per spacchettare l'apprendimento e scegliere il meccanismo di ricompense. Questo è il contrario di come funziona il vero apprendimento, che non è basato sulla customizzazione, ovvero sull'attenzione all'utente che possono avere le aziende o i videogiochi, ma sulla motivazione intrinseca. 

Il gioco può essere un ingrediente fondamentale per stimolare la motivazione. Secondo lo psicologo Peter Gray il gioco non è tanto un'attività quanto un atteggiamento (quindi non è gioco quando c'è un sistema di punteggi e non lo è quando manca). 

Queste sono le caratteristiche del gioco secondo Peter Gray:

  • Deve essere liberamente scelto e liberamente diretto, ovvero i partecipanti devono avere una certa libertà nello svolgere l'attività. Non è invece giocosa un'attività obbligatoria.
  • I mezzi sono più importanti dei fini. Ottenere la ricompensa, dunque, è meno importante dello svolgimento dell'attività.
  • Ha regole create dalla mente dei giocatori, che hanno dunque la possibilità di rielaborare il regolamento. Quindi se le caratteristiche dell'attività sono tutte imposte non è un vero gioco.
  • È immaginativo, ovvero separato in qualche modo dalla realtà. Il gioco si svolge in una cornice creativa: si può giocare a fare il cattivo senza essere cattivo nella realtà.
  • Comporta uno stato mentale attivo ma non stressato (e i premi spesso aumentano lo stress).

Le attività progettate in questo modo sono ideali per crescere bambini che si sentono capaci di imparare.

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